IL
KATA
Il
kata nel karate-do è un esercizio individuale che rappresenta
un combattimento reale contro più avversari immaginari. Poiché
la parola “kata” nella lingua giapponese significa “forma”,
appare evidente che nell’esecuzione dell’esercizio rivestirà
un’importanza primaria proprio la qualità formale delle
singole tecniche, delle posizioni e degli spostamenti. Se tuttavia
ci si limitasse a considerare il solo aspetto estetico, si commetterebbe
un errore sostanziale: il kata è un vero combattimento, seppur
codificato, perciò deve esprimere efficacia, tanto dal punto
di vista tecnico che strategico. Esso rappresenta per i praticanti
l‘essenza dell‘arte marziale, perché racchiude
in sé sia lo studio delle tecniche fondamentali (kihon) che
il ritmo e la tattica del combattimento (kumite): è perciò
basilare per progredire nella ricerca della “Via” (do).
L’esercizio del kata non si pratica solo nelle discipline
marziali, ma in tutte quelle arti orientali che abbiano come fine
il “do” ju-do e ken-do dunque, ma anche sho-do (calligrafia),
ka-do (composizione floreale) e so-do (cerimonia del tè).
In tutte queste discipline ci si propone di fondere attraverso la
respirazione le componenti fisica e mentale eseguendo una predeterminata
sequenza di gesti per raggiungere a più elevata condizione
spirituale. Gli antichi maestri delle arti marziali hanno estratto
dalla realtà dei combattimenti i principi fondamentali delle
tecniche e delle strategie, condensandole in sequenze di studio.
L’esperienza di una vita spesa nella ricerca portava il maestro
ed i suoi migliori allievi a creare un kata, approfondendo lo studio
di tutte le possibili applicazioni, Il kata era poi trasmesso o
tutti gli allievi, diventando la specialità tecnica e il
principale strumento didattico della scuola. La complessa origine
dei kata ci tramanda le tecniche classiche del karate-do: è
per ciò importante che i kata si mantengano puri, privi dell’influenza
personale di chi li pratica, per giungere inalterati alle generazioni
future. Certo, le gestualità antiche prevedevano la difesa
contro e armi del tempo, ma i loro utilizzo è ancora possibile
se si ricercano le applicazioni più adeguate al e situazioni
moderne. Come dice i maestro Gichin Funakoshi in una delle Venti
Regole del karate: “il kata è perfezione della tecnica,
la sua applicazione è un’altra cosa”. Difficilmente
il praticante che si accinge allo studio di un nuovo kata è
in grado di modellarsi ai tempi di esecuzione o alle posture richieste:
l’incomprensione può essere così profondo da
far dubitare del valore del karate nel suo insieme. Usando un paragone
si potrebbe dire questo: immaginiamo che il kata sia la frase di
un vecchio saggio che racchiuda, in poche e precise parole, il senso
della vita. Ai più giovani quella frase potrà anche
sembrare bella, ma il suo vero significato rimarrà loro nascosto.
La stessa frase apparirà più profonda e significativa
a chi, meno giovane, potrà riconoscersi in essa, ritrovando
sensazioni già sperimentate. Alla piena comprensione, densa
di tutto i sapore della vita, giungerà solo chi abbia maturato
un’esperienza paragonabile a quella del vecchio saggio. Risultato:
le stesse parole hanno valori differenti se varia l‘esperienza
di chi le ascolta. Lo stesso può dirsi per il kata: in esso
troviamo tecniche difficili o incomprensibili, risultato di anni
di studio e di applicazione dei maestri del passato. Solo il costante
e serio allenamento aprirà la strada della comprensione di
tali gesti ai praticanti odierni, consentendo loro di penetrare
i significati nascosti del kata. Ogni kata è composto da
una serie di movimenti che costituiscono la caratteristica evidente,
ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più
immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente
mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri
se ne impadronissero. Così, ad esempio, i kata vennero mimetizzati
in danze innocue, di cui solo gli iniziati riconoscevano l‘essenza,
nel periodo in cui a Okinawa vigeva la proibizione di praticare
le arti marziali. E’ necessario tenere presente alcuni punti
che caratterizzano l’esecuzione del kata secondo lo spirito
originario. Ogni kata inizia e finisce con il saluto. L’inchino,
che tanto lascia perplessi gli spettatori occidentali, testimonia
di un mutato atteggiamento mentale dell’esecutore, che da
quel momento esprime tutta la sua forza interiore. Lo stato di massima
attenzione (zanshìn) si evidenzia in particolare al momento
del saluto e del kiai (grido), ed è un eccellente allenamento
psicologico. Tutte le tecniche devono essere sostenute dal corretto
uso della respirazione e della contrazione addominale (kime) che,
in due particolari momenti, esplodono nel kiai. Dimenticare il grido
o eseguirlo fuori tempo è indice di emotività ed è,
di conseguenza, un errore. I kata si sviluppano su di un tracciato
determinato (embusen); se spostamenti e cambi di direzione vengono
eseguiti correttamente i punto d’arrivo del kata corrisponderà
a quello di partenza. Ogni karateka deve individuare un “tokui
kata” (forma preferita), che sarà scelto in funzione
dell’obiettivo da raggiungere: l’esame, la gara o il
miglioramento del proprio livello tecnico. Il “tokui kata”
deve, perciò, cambiare nel tempo, accompagnando il praticante
nelle diverse fasi dello sua evoluzione.
Appartengono allo stile Shotokan una cinquantina di kata, ma ne
sono effettuati poco meno di trenta che vengono classificati in
base alle necessità didattiche, secondo un criterio progressivo,
I kata tradizionali traggono le loro origini da due stili antichi
“Shorin” e “Shorei”, l’uno caratterizzato
da maggior agilità e velocità di spostamento quindi
più adatto ai combattimenti a distanza, l’altro basato
su tecniche potenti e posizioni stabili e per questo più
adeguato ai combattimenti ravvicinati. Nello stile Shotokan le due
correnti sono entrambe rappresentate, perché il M° Funokoshi
riteneva in completa la ricerca dell‘abilità a scapito
della forza o viceversa, dal momento che tali qualità risultano
parimenti necessarie al miglioramento personale ed utili in egual
modo alla difesa. Non è sempre agevole individuare l’origine
di un kata dalla sua forma attuale. Nel corso dei secoli gli stili
si sono miscelati in più occasioni dando vita a versioni
particolari di alcuni kata. Così, se è evidente l‘origine
Shorin in Empi (basato su spostamenti veloci e profondi, con continui
cambiamenti di direzione) e l’origine Shorei nei Tekki (pochi
spostamenti in linea retta mantenendo sempre la stessa posizione)
diventa più incerto determinare l‘origine di altri
kata nei quali le diverse caratteristiche si fondono.
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