Combattimento: maestro di vita
Nella
cultura occidentale è radicata la convinzione che il corpo
rappresenti soltanto l’involucro di un contenuto prezioso:
l’intelletto.
In Oriente, al contrario, sfera mentale e corporea sono considerate
indissolubili e costituiscono l’unità universale di
tutte le realtà del mondo. Pertanto, la cura del corpo sottende
inevitabilmente alla purezza dello spirito, così come contenente
e contenuto sono legati da un vincolo che li pone su un piano parìtetìco.
La pratica di un’arte marziale è concepita come ricerca
dell’equilibrio e dell’armonia fra le componenti dell’essere
umano: corpo e mente non sono esercitati per se stessi, ma l’uno
per l’altra, in una pratica che costituisce una vera filosofia
di vita. E quindi del tutto comprensibile come lo studio dell’arte
marziale debba essere inteso come un’attività duratura
per tutto l’arco dell’esistenza. In questo contesto,
l’evento sportivo va ridimensionato e delimitato da precisi
contorni. La pratica del karate non deve essere identificata con
la prestazione agonistica, anche se questa rappresenta un momento
importante, sebbene non indispensabile, nella vita di un karateka.
Ciò che conta realmente non è la gara o il risultato,
ma quanto l’arte riesce a infondere nel praticante, migliorandolo.
Si dice correttamente che il karate può essere studiato e
intrapreso a ogni età, non a tutte è comunque possibile
cimentarsi in una gara, ma non per questo un karateka “tardivo”
è meno bravo, completo o degno di stima di un giovane campione.
Ognuno, nel Karate Tradizionale, è importante per ciò
che realmente è, non per quel che sembra.
L’arte marziale, conseguentemente, costituisce la via dell’essere,
non quella dell’apparire.
Vincere
o imparare a combattere?
In
quest’ottica l’arte del combattere, che si materializza
nel rito del combattimento, assume un ruolo molto significativo
e universalmente valido. In ogni momento della vita, quotidiano
o solenne, l’uomo è messo alla prova. La risposta è
dentro di sé e va ricercata nella capacità di reagire
opportunamente agli stimoli esterni, di controllare emozioni e azioni.
Il combattimento, il confronto-scontro, prepara a fornire risposte
immediate ma anche a porsi domande future, nel rispetto proprio
e altrui.
Non è tanto importante, dal punto di vista formativo, riuscire
a vincere quanto imparare a combattere. Per affrontare un combattimento
o un qualunque frangente della vita quotidiana, è necessario
conoscere le proprie risorse, prevedere i movimenti dell’avversario
così come gli sviluppi delle situazioni contingenti per predisporre
una risposta adeguata. Le condizioni ambientali determineranno poi
la scelta dell’attesa-difesa o dell’iniziativa-attacco.
Questo è fronteggiarsi, sul tatami come nella vita d’ogni
giorno, affrontando la realtà a viso aperto senza grettezze
o sotterfugi.
Sul piano educativo, la pratica del Karate Tradizionale permette
l’accettazione del confronto, l’espressione in un combattimento
privo di rischi, l’applicazione e l’utilizzo appropriato
degli elementi tecnici fondamentali, favorendo una corretta maturazione
della personalità nel bambino e nell’adolescente, così
come un adeguato consolidamento di essa nell’adulto e nell’anziano.
A quale età intraprendere lo studio del karate dipende sicuramente
dalle aspettative e dalle aspirazioni individuali. La naturale curiosità
del bambino in età prescolare potrebbe costituire un solido
punto di partenza, non tanto per l’acquisizione della tecnica,
per la quale esistono momenti successivi sicuramente più
idonei, quanto per l’educazione alla scoperta delle risorse
soggettive e oggettive.
La competenza del maestro e la sua conoscenza dello stadio evolutivo
dei piccoli allievi sono l’unica pregiudiziale nei confronti
dell’insegnamento di un’arte marziale a bambini in tenera
età. Tuttavia, è auspicabile che vengano predisposti
adeguati percorsi formativi per divulgare questa affascinante disciplina
nei giovanissimi, tenendo conto dei sani principi su cui essa si
basa.
Michela
Turci (dalla rivista Sport e Medicina)
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