Yamato
Damashii Karate club è presente a San Giorgio di
Piano dal 1986 presso il centro sportivo comunale.
Fondato dal Maestro Massimo Polacchini
(oggi cintura nera 5° dan) e dall’istruttore Remo
Zanella (cintura nera 2° dan) per diffondere nel paese
lo studio del Karate Tradizionale. Massimo e Remo sono allievi del
Maestro Giuseppe Perlati (c.n. 7° dan), figura
storica del Karate italiano, fondatore del Musokan club nel 1970
e allievo a sua volta del Maestro Hiroshi Shirai (c.n. 9° dan)
portatore e diffusore del Karate in Italia.
18 anni per testimoniare, se ancora ve ne fosse bisogno, che il
karate è perseveranza, tradizione ed impegno.
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Ad
oggi il karate continua a costituire una forma efficace di autodifesa,
ma il suo significato profondo deve essere interpretato diversamente.
Il karate viene utilizzato come strumento di allenamento alla disciplina,
intesa come determinazione, perseveranza, umiltà e rispetto
del prossimo.
L’originaria lotta per la sopravvivenza costituisce una metafora
che deve insegnare, nella vita di tutti i giorni, a rapportarsi
con il prossimo senza timori ma con profonda lealtà e rispetto.
L'allenamento ha l'obiettivo di migliorare la propria forma ed efficienza
fisica, ma anche il proprio carattere, imparando a controllare l'emotività,
a reagire positivamente a situazioni difficoltose e a credere in
se stessi.
I compagni di allenamento sono i nostri avversari nel combattimento
ma anche un prezioso aiuto per progredire; per questo sono essenziali
stima e rispetto reciproco.
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La
pratica del karate si basa su tre pilastri fondamentali: kihon,
kata e kumite.
Il kihon è l'insieme degli esercizi fondamentali, la ripetizione
delle tecniche singole o in concatenate una all'altra, che si pratica
prevalentemente da soli a mani nude o con l'ausilio di strumenti
tradizionali come il "makiwara" (un'asse di legno di 150
cm, infissa nel suolo alla cui estremità superiore si trova
una sorta di cuscino di paglia che è il punto da colpire),
od in alternativa con strumenti più attuali come gli scudi
colpitori o il sacco da boxe.
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Il
kata è un insieme di tecniche, concatenate in modo da costituire
una sequenza che simula un combattimento. Letteralmente "kata"
in giapponese significa "forma", "stampo" e
identifica un parte fondamentale dell'insegnamento di tutte le arti
marziali giapponesi. I kata sono "i libri di testo" in
cui è racchiuso tutto l'insegnamento tramandato da secoli
di pratica. I kata sono stati elaborati dai vari maestri che ne
hanno formalizzato le tecniche e le hanno messe in una sequenza
che rappresenta un "combattimento reale con avversari immaginari".
Studiando e applicando il kata con costanza se ne possono estrapolare,
sotto la guida di un maestro, un moltitudine di tecniche e di stili
diversi di combattimento, ognuno derivante dalla scuola del maestro
che lo ha elaborato. Sono una vera e propria miniera da cui il praticante,
novizio od esperto, può attingere e scoprire continuamente
nuove tecniche e nuove idee per migliorare la sua arte.
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Il
kumite è il "combattimento". Letteralmente la parola
significa "incontro" (kumi) di "mani" (te) e
va inteso proprio come un "incontro" anziché uno
"scontro", in cui ogni praticante sfrutta l'avversario
per confrontarsi con i propri limiti e le proprie paure. Il kumite
viene studiato in varie forme, dalla più semplice e controllata
detta "kihon kumite" (per i primi livelli) si passa per
gradi al "ju kumite", il combattimento libero (per i livelli
avanzati), fino ad arrivare al "jissen kumite" cioè
il combattimento reale (solo per praticanti di livello superiore).
Questi tre elementi sono inscindibili nella pratica del karate:
dai kata si estrapolano le tecniche, le combinazioni e le strategie
in essi racchiuse, si utilizza il kihon per tradurle in modelli
di combattimento che poi verranno applicati nel kumite.
Nel karate attuale i livelli di apprendimento sono scanditi dalle
cinture colorate, che corrispondono alla tradizionale graduazione
definita dai "kyu": dal 9° kyu, la cintura bianca,
in scala decrescente fino al 1° kyu, la cintura marrone; a questo
punto si può conseguire la cintura nera e inizia la progressione
in dan, che può arrivare fino al 5° per esami e successivamente
per meriti particolari nello studio e nella pratica del karate,
mai per "meriti sportivi", trattandosi di karate tradizionale
e non "sportivo". Dal 2° dan in poi si può
diventare "istruttore", dopo aver frequentato il corso
specifico e superato un esame teorico-pratico, e dal 5° dan
si può aspirare all'ambita qualifica di maestro, che viene
conferita, dopo una serie di prove e una tesi, dal caposcuola dell'organizzazione
in cui si opera.
Le federazioni, o sedicenti tali, di karate sono numerose e l'unica
discriminante che fa la differenza tra una e l'altra è la
qualità e la serietà del caposcuola che si rispecchia
nei suoi maestri e istruttori. Un invito personale che io rivolgo
a chi volesse intraprendere la via del karate è quello di
informarsi bene sulla scuola e sul maestro o istruttore che si intende
seguire: nonostante gli stili di karate ufficiali attualmente praticati
siano essenzialmente quattro, piuttosto differenti l'uno dall'altro,
la qualità del karate è data solo dall'onestà
e alla
Serietà della pratica, indipendentemente dallo stile.
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Il
Karate
Il
Karate è un’arte marziale, cioè un arte da combattimento,
che si pratica a mani nude, le cui tecniche hanno come obiettivo primario
il conseguimento ed il raggiungimento di una incisività e di efficacia
nel portare gli attacchi. Questi oltre a colpi con i pugni, sono costituiti
anche da colpi portati con i piedi, gomito ginocchio ecc. Allo stesso
modo la difesa consiste in un insieme di tecniche elaborate allo scopo
di difendersi appunto da tali tipologie di attacco.A queste parate possiamo
aggiungere tecniche di immobilizzazione e proiezione o l’utilizzo
di attrezzi che non siano prettamente armi, ma oggetti che derivano dalla
vita quotidiana, per lo meno quella dei contadini e pescatori giapponesi.
Il termine Karate venne utilizzato le prime volte intorno agli anni ’30.
L’attribuzione di tale nome segna un passo decisivo nella storia
delle arti marziali, poiché si esce dalla fase in cui quest’arte
di denominazione non del tutto definita ed in ogni caso variabile a seconda
del luogo ove veniva praticata, doveva essere un qualche cosa di esclusivo
ed in ogni caso di nascosto e misterioso, quasi mistico. Da questo momento
in poi viene definito l’orientamento generale della tecnica definendo
Karate come “Mano Vuota”, inteso come mano disarmata o nel
più profondo significato filosofico\buddistico del termine.
La lingua giapponese è composta da ideogrammi ( Kanji ) , ma al
contrario di quello che succede nel caso delle lingue fonetiche non vi
è una corrispondenza biunivoca tra suoni e simboli. Per lo stesso
ideogramma esistono differenti pronunce e ad uno stesso suono possono
corrispondere ideogrammi differenti. L’antico nome del karate era
To De la cui traduzione letterale era Mano ( De o Te ) della Cina ( To
), cioè Mano Cinese. L’ideogramma To si può anche
pronunciare come Kara. Verso l’inizio del ventesimo secolo si è
cominciato a pronunciare gli ideogrammi come Kara-Te . Il suono Kara in
giapponese ha il significato di Vuoto. Questo cambiamento nell’ideogramma
corrispondente a Kara ha portato al doppio significato di Kara-Te inteso
come Mano Vuota, secondo il significato filosofico del Buddismo Zen, o
come Mano Cinese. Il fatto che col trascorrere degli anni, soprattutto
dopo gli anni ’30, il significato di Mano Vuota si sia diffuso così
largamente, probabilmente è anche dovuto al fatto che i maestri
di quest’arte provenienti da Okinawa intendessero fondere le loro
conoscenze con quella che era la tradizione del Budo giapponese.
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