Il
Dojo Kun e un insieme di precetti etici basilari per la pratica
del Karaté tradizionale, e nella sua formulazione esso pone
cinque regole fondamentali che il karateka deve conoscere e soprattutto
introiettare. La funzione del Dojo Kun non è tanto legata
al perfezionamento tecnico quanto al perfezionamento interiore che
di riflesso conduce all'affinamento dell'esecuzione tecnica. 1 cinque
principi che esamineremo nascono intatti come sintesi estrema dei
valori e degli obiettivi di questa arte marziale, che vede nella
difesa e non nell'offesa uno degli scopi primari della disciplina.
Nel costante allenamento delle applicazioni e nel percorso conoscitivo
indotto dal karaté, corrispondenza tra interno ed esterno
e rafforzamento dello spirito diventano mete essenziali del praticante.
Questa disciplina che guida al sé attraverso la padronanza
delle tecniche, considera fondamentale la conoscenza e l'interiorizzazione
del Doyo Kun perché vede in esso l'insegnamento della correttezza
comportamentale e del rispetto universale: è un rituale carico
di suggestione, un insieme inscindibile di forma e sostanza. Pronunciarlo
mentalmente e individualmente o a voce alta e coralmente significa
attivarne valore ed energia, sia in potenza che in atto; il karateka
deve appropriarsi del senso profondo del Dojo Kun e sentirlo istintivamente
come via comportamentale estendibile alla condizione esistenziale.
Ciascuno dei cinque precetti si presta a interpretazioni non univoche
ma il significato essenziale di ogni frase è assolutamente
inequivocabile. La struttura sintetica del Dojo Kun nasce da una
concezione spirituale delle arti marziali e dalla certezza che in
esse dimori il senso più profondo degli equilibri essenziali,
nel continuo alternarsi di difesa e attacco, azione e reazione,
intervento e vigile contemplazione.
L'ordine co'n il quale i precetti si susseguono non segue un criterio
gerarchico ma piuttosto un parallelismo ideale tra regole complementari
ed equivalenti per valore e importanza.
Hitotsu. Jinkaku Kansei ni Tsutomuru Koto
II Karaté è mezzo per migliorare il carattere
La
regola con la quale inizia il Dojo Kun riguarda il perfezionamento
del carattere, e quindi la necessità di tendere ad una continua
trasformazione interiore basata su una obiettiva autocritica. Per
miglioramento qui si deve intendere qualcosa di più impegnativo
di un semplice adeguamento a ciò che comunemente e convenzionalmente
consideriamo giusto e buono in un carattere, n concetto di miglioramento
del carattere attraverso la pratica del Karaté presuppone
una conoscenza obiettiva dei propri limiti, delle debolezze e delle
potenzialità che ciascuno di noi presenta. Tendere al miglioramento
significa quindi approssimarsi ad una conoscenza approfondita di
noi stessi senza credere per questo di poter esaurire una volta
per tutte quel lungo e lento percorso di ricerca che non ha fine
e impone un costante scavo inferiore. 11 perfezionamento del carattere
passa attraverso l’acquisizione di una sincera umiltà,
l’abbandono dell’orgoglio personale, il raggiungimento
di una vera modestia che impone coscienza del sé e sottrae
l’individuo ad aberrazioni che possono indurlo all’eccesso
di valutazione o svalutazione delle proprie abilità. L’umiltà,
praticata costantemente nell’esercizio di un atteggiamento
corretto e sempre pronto al confronto, deve quindi facilitare l’assimilazione
di nozioni necessarie al perfezionamento tecnico. Raggiungere efficacia
nel controllo della tecnica e della forma significa non tare esclusivamente
affidamento sulle doti naturali o sulle predisposizioni accidentali
legate alla morfologia del proprio corpo, ma perseguire ‘la
via del perfezionamento considerando un dovere il superamento dei
propri limiti. Solo nella sana accettazione di un aggiustamento
continuo che non sconfini nell’ossessione di arrivare ad una
perfezione ideale irraggiungibile, il karateka può imparare
a porsi sul tatami come nella vita, non cedendo ad utopie pericolose
ed esercitandosi all’adattabilità senza rinunciare
alla propria individuale personalità. Nella concentrazione
sulle tecniche e nella sopportazione dello sforzo fisico e spirituale
richiesto per sfidare i propri limiti si compie pertanto la parte
essenziale dell’evoluzione del carattere.
Hitotsu,
Makoto no Michi o Mamoru Koto
il
Karaté è via di sincerità
Anche in questo secondo precetto troviamo un principio fondante
la disciplina del Karaté: la sincerità. Per sincerità
non bisogna intendere la semplice rivelazione di una spicciola intimità,
ma la pratica di un'autentica apertura che impone di scoprirsi senza
raccontarsi in modo compiaciuto, di mettersi a nudo per lasciarsi
indagare e conoscere da chi ci circonda. Nella pratica del Karaté
l'immediatezza è privata di qualsiasi brutalità. Sincerità
significa essere onesti nell'analisi di se stessi e degli altri
senza incorrere in sterili giudizi. Sincerità è soprattutto
limpidezza, azioni e pensieri dettati da cuore e mente purificati
dall'egocentrismo, dal risentimento, da egoismo ed edonismo. Per
il karateka la sincerità con se stesso e con gli altri è
un esercizio ineliminabile, senza il quale la pratica non avrebbe
senso. Se attraverso il Karaté è possibile capire
i propri limiti e tendere ad un'analisi obiettiva dei valori etici
che riguardano le cose del mondo, la chiarezza è condizione
essenziale per intraprendere un simile percorso conoscitivo. La
sincerità richiesta nella pratica del Karaté è
dunque coraggio morale.
Hitotsu,
Doryoku no Seishin o Yashinpu Koto
II Karaté è mezzo per rafforzare la costanza dello
spirito
Rafforzare instancabilmente la costanza dello spirito significa
considerare la continuità dell'esercizio uno strumento essenziale
per affinare abilità tecniche e facoltà intcriori.
Senza costanza e volontà non c'è speranza per la crescita
e la conoscenza di quelle energie individuali che solo l'allenamento
collettivo fa emergere nel suo essere interazione e scambio tra
le parti. Il rafforzamento della costanza abitua alla sopportazione
dello sforzo fisico e porta allo sviluppo, al mirato dispendio,
alla concentrazione e alla rigenerazione di energie sottili. La
continuità porta ad attribuire un significato nuovo alla
fatica giacché il potenziamento dello spirito passa attraverso
l'esercizio paziente dell'allenamento e la sua sublimazione. Nell'allenamento
costante e prolungato si attua la ripetizione instancabile delle
tecniche e nella resistenza del karateka si intravede l'acquisizione
della disciplina ulteriore. Praticare il Karaté seguendo
una traccia spirituale significa considerare assolutamente indivisibili
esercizio della tecnica e suo valore in quanto mezzo per approssimarsi
ad un ideale di perfezione.
Hitotsu,
Reigi o Omonzuru Koto
il
Karaté è via per imparare il rispetto universale
Nel
rispetto universale dimora il fondamentale principio di integrazione
tra individuo e cosmo. Avere rispetto significa poter capire per
amore di conoscenza ciò che è difforme, superare gli
angusti spazi di una percezione limitata alla contingenza e aprirsi
ad un'ampiezza interiore che può accogliere le diverse sfaccettature
dei fenomeni. Nel rispetto universale rientra necessariamente quello
rivolto all'avversario sul tatami, con cui ci si misura in un nobile
confronto l'incontro/scontro diventa quindi metafora della sfida
che l'individuo attua incessantemente con se stesso per conoscersi
e, valicando i propri limiti, porsi in armonia col tutto. Rispettare
significa seguire una via che richiede fedeltà ai principi
senza incorrere nel dogmatismo impositivo. Solo così il rispetto
per ciò che è a noi estraneo può diventare
consapevole accettazione delle diverse espressioni di spiritualità
che connotano l'esperienza umana. Per rispetto universale bisogna
anche intendere la percezione della grandezza dell'incessante forza
creatrice che sovrasta l'uomo e lo assimila alle altre forme di
vita, rendendo l'essere parte del tutto. Nel principio del rispetto
universale dimora la consapevolezza del mito della reintegrazione:
l'individuo, isolato nella sua particolare espressione di vita eppure
accomunato al destino delle altre creature, è parte di un
equilibrio naturale che fonde le vite particolari in un unica grandezza
universale.
Hitotsu,
Kekki no Yu o Imashimuru Koto
II Karaté è via per acquisire l'autocontrollo
L'importanza dell'autocontrollo è assoluta nella pratica
del Karaté. Autocontrollo in senso stretto significa capacità
di portare la tecnica tacendola entrare senza recare danno, in senso
più ampio significa saper valutare aperture e chiusure considerando
le possibilità di interazione con l'avversario, lo spazio
e il tempo. L'autocontrollo si esprime nella facoltà di mitigare
le pulsioni, non reprimendo ma disciplinando il proprio istinto.
Avere autocontrollo significa meditare sulle azioni per l'impatto
che esse possono avere all'esterno e sedare le tensioni interiori
addestrandosi al dominio e alla neutralizzazione di una visceralità
frutto di un istinto non canalizzato, senza tuttavia rinunciare
alla sincerità e alla spontaneità del proprio essere.
Autocontrollo quindi come acquisizione di modalità comportamentali
adeguate alle circostanze, capacità di sopportazione e dominio
di se stessi anche in situazioni spiazzanti, conoscenza delle potenzialità
raggiunte ed affinate, piena coscienza della loro efficacia, ma
soprattutto consapevolezza che il fine ultimo è l'astensione
imperturbabile.
Andrea
Sangiorgi
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