M°
Hiroshi Shirai
Cintura nera 9° Dan
Nasce il 31/07/1937 a Nagasaki (Giappone)
1955 - Inizia a praticare il karate
1957 - Diventa 1° Dan
1959 - Diventa 2° Dan ed è 1° ai campionati nazionali
universitari
1960 - Inizia il corso per maestro presso la JKA
1961 - Diventa istruttore e 3° Dan, arriva 2° ai campionati
nazionali giapponesi
1962 - 1° ai campionati nazionali giapponesi
1963 - Diventa maestro
1964 - Diventa 5° Dan
1965 - Da febbraio ad ottobre insieme ai maestri Kase, Kanazawa,
Enoeda dimostrazione ed insegnamento in USA, Europa e Sudafrica
1966 - Fonda l'Associazione Italiana Karate (AIK)
1969 - Diventa 6° Dan
1970 - Fonda la FESIKA (Federazione Sportiva Italiana Karate)
1974 - Diventa 7° Dan
1978 - E' l'artefice principale dell'unificazione tra la FESIKA
e la FIK
1979 - Fonda l'Istituto Shotokan Italia (ISI)
1986 - Diventa 8° Dan
1999 - Diventa 9° Dan
Negli
anni ottanta è presidente della Commissione Tecnica e commissario
tecnico delle nazionali che si sono susseguite
Nel novembre del 1989 insieme ad un gruppo di maestri e futuri dirigenti
ha fondato la F.I.K.T.A. di cui è direttore tecnico
La
federazione ha già raccolto nelle sue fila oltre 500 società,
25.000 iscritti e 1.000 tecnici, di gran lunga fra i più
qualificati a livello nazionale, oltre ai migliori atleti, vincitori
di numerose medaglie d'oro sia in campo europeo che mondiale
Lo sviluppo del Karate Tradizionale in Italia è frutto del
suo competente ed appassionato insegnamento
A lui rivolgiamo il nostro deferente ringraziamento
Oss!!
Dal
“Manuale di Karate” del Maestro Hiroshi Shirai
Nonostante
la grande diffusione che ha fatto registrare in questi ultimi anni
il Karate non è stato ancora pienamente compreso nè
valutato per quella straordinaria potenzialità formativa,
sul piano spirituale, che racchiude nei fondamenti ideologici sui
quali si basa. L’opinione corrente continua a ritenere il
Karate una attività violenta e prevaricatrice giustificando
la sua diffusione come una logica conseguenza di un epoca sempre
più povera di valori spirituali e sempre più dominata
dalla sopraffazione. E’ soprattutto per queste scoraggianti
constatazioni di fondo che desidero far precedere le disquisizioni
tecniche contenute nel mio manuale di insegnamento da qualche pensiero
di origine morale nell’intento di far comprendere quale debba
essere il substrato ideologico con cui affrontare il Karate Do,
la “via del Karate”, per farne acquisire un valore più
alto di quello unicamente ginnico/sportivo e conseguirle, attraverso
di essa, e un miglioramento di se stessi altrimenti non raggiungibile.
Il punto di partenza deve essere la considerazione che, per quanto
avanzato sia il grado di civiltà, tutti gli uomini sono largamente
imperfetti e per valutare quanto grande sia il margine di perfettibilità
consentita all’uomo basta pensare ai progressi compiuti, nel
corso dei secoli, dall’umanità nel miglioramento delle
proprie condizione. Ognuno di noi, pertanto, dovrebbe avere piena
coscienza di questa sua incessante possibilità di divenire
migliore mediante la ricerca di una perfettibilità che può
essere continuo motivo di tormento e di soddisfazione nel medesimo
tempo: tormento per ciò che non si è e soddisfazione
per ciò che si è riusciti ad essere. Tutta la nostra
esistenza deve, quindi, essere animata da una costante aspirazione
a raggiungere un punto di perfezione più alto senza, tuttavia,
finalizzare questo sforzo al conseguimento di un risultato massimo
immediato quanto piuttosto individuando una gradualità di
momenti in ognuno dei quali si verifichi non solo la propria condizione
ma anche e soprattutto, le cause della propria imperfezione. La
comprensione dello sforzo verso un livello esistenziale sempre più
alto è di per se stessa una forma di equilibrio ed una garanzia
di forza, di sicurezza e, di grande beneficio per il corpo e per
lo spirito. Tutto questo avrà un sapore ideologicamente diverso
se gli sforzi compiuti ed i risultati raggiunti non saranno considerati
dei limiti ristretti del proprio ambito personale ma utilizzati
quotidianamente per dare una indicazione agli altri circa la coscienza
che la propria dimensione spirituale, per quanto limitata, possa
dilatarsi sul piano sociale nella misura in cui cerca nel prossimo
un punto di riferimento nel quale realizzarsi. E’ osservazione
corrente, rilevare come, ai giorni nostri, vi sia una larghissima
parte di uomini che affermano di aver compiuto atti, ricerche o
esperienze ad essi nella realtà del tutto sconosciuti. Si
comportano così perchè, impressionando con le parole
nascondono la loro sostanziale povertà spirituale di cui
potremmo anche dolerci se non dovessimo constatare che la generalizzata
mancanza di senso critico, la scarsa volontà di approfondire
le apparenze ed un crescente disimpegno culturale consentono loro
di affermarsi progressivamente raggiungendo risultati che assolutamente
non meritano.
E’ a questo tipo di uomo che dobbiamo cercare di contrapporre
una personalità che, pur cosciente dei propri limiti e pur
pienamente convinta di non poter attingere la perfezione, si sforza
ogni giorno di correggere i propri errori con pazienza e con umiltà.
Questo tipo di uomo deve costruire il nostro modello comportamentale
e non solo per una forma di nostro personale arricchimento ma per
dare un contributo concreto a modificare dal di dentro una società
che sembra privilegiare sempre di più chi non merita. E’
necessario, in altri termini, essere uomini che sappiano dimostrare
con i fatti le proprie capacità mettendo a frutto gli sforzi
compiuti per acquisire conoscenze utili a se stessi ed agli altri.
Importante, ed addirittura pregiudiziale è avere la convinzione
che la ricerca della perfezione, nella coscienza della propria perfettibilità
è possibile solamente quando il proprio livello culturale,
inteso nel senso spirituale e non certo nozionistico del termine,
è mantenuto alto. Mantenere alto il proprio livello significa,
soprattutto, ripercorrere continuamente il cammino intrapreso vivendo
sempre i vari momenti, i diversi gradi, le necessarie esperienze
progressivamente vissute. “ La ricerca di un vertice sempre
più alto non farà diminuire in questo modo, l’estensione
della base di quella piramide con cui si può configurare
la vita e la solidità della base è permessa di analoga
forza della sommità: un punto estremo di cui si conosce l’esistenza
ma che non si sa quanto in alto possa essere. Sono queste le fondamenta
ideologiche con cui affronto l’allineamento pienamente convinto,
come sono, che esso rappresenti la visualizzazione di concetti interiori
dai quali tutte le tecniche traggono un valore infinitamente più
alto. lo spero che chi seguirà il mio manuale non perda mai
di vista questa introduzione: in caso contrario farà solo
dell’ottima ginnastica”.
M° Hiroshi Shirai
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