M° GIUSEPPE PERLATI
Cintura nera 7° Dan


Nasce il 17/02/1943 a Castelfranco Emilia (MO)
Allievo del M° Shirai fin dal 1965, anno dell'arrivo del Maestro in Italia
E' stato socio fondatore dell'A.I.K., della F.E.S.I.K.A., dell'I.S.I. (Istituto Shotokan Italia) e della F.I.K.T.A. (Federazione Italiana Karate Tradizionale e Discipline Affini)
Componente della nazionale FE.SI.KA. dal 1970 al 1977
E' stato arbitro mondiale WUKO, consigliere federale FE.SI.KA., vice presidente FIKTEDA e consigliere federale FITAK
E' vice presidente della F.I.K.T.A. dal 1989, anno della sua fondazione
Nel 1970 ha fondato il Musokan Club di Bologna, società nella quale si è formata la maggior parte dei tecnici e degli atleti che hanno dato prestigio al karate dell'Emilia Romagna
Il M° Perlati rappresenta la memoria storica del karate in Italia sin dalle sue origini avendo avuto diretta esperienza nel susseguirsi degli eventi

Intervista al M° Giuseppe Perlati

“Quello che avete fatto non è karate ma solamente una buona ginnastica”.
Questa frase, pronunciata dal Maestro Kase, circa venti anni fa, a Montecatini, al termine dell’esecuzione di un kata, mi ha lasciato sbalordito, pieno di domande alle quali, a tutt’oggi, ho saputo rispondere solamente in parte. Perché un esercizio che era stato eseguito con il massimo dell’impegno (almeno così credevo) da dei praticanti giovani e determinati, che avrebbero in seguito contribuito alla diffusione del karate in tutta l’Italia, non era da considerarsi karate?
Perché un gesto atletico, anche se apparentemente corretto, può non avere nulla a che fare con il karate?
Solamente diversi anni dopo mi sono dato alcune risposte;
Innanzi tutto qualunque tecnica, per forte che possa essere (o sembrare) non può considerarsi una tecnica di karate se non è effettuata con “kime”: “non c’è karate se non c’è kime”.
Potrà anche essere una bella tecnica ma non si dovrà chiamare karate perché non lo è.
Sì, chiaro, ma il “kime” cos’è?
Anzichè semplificarsi la questione si complica.
Entrano in campo concetti che in teoria tutti i praticanti conoscono:
“ki ken tai”; uso dell’ “hara”; focalizzazione delle energie mentali e fisiche in un punto per un brevissimo istante (e chi più ne sa più ne metta); tutto questo, appunto, in teoria, ma in pratica?
Ed ecco spuntare un altro elemento senza il quale è praticamente impossibile giungere ad avere la padronanza del kime: il “maestro”.
Perché se è vero, come è vero, che occorre avere una mente libera da ogni condizionamento, chi può metterci di fronte alle nostre contraddizioni, alle nostre paure, se non il “maestro”?
Se è vero, come è vero, che occorre la massima determinazione, che bisogna buttare via ogni dubbio ed essere sempre pronti, “qui ed ora”, per essere, quindi, costretti a prendere coscienza dei propri difetti, chi può farci toccare con mano i nostri errori, le nostre debolezze, chi può permetterci di vedere più chiaramente il nostro vero volto, usando la frusta e la carezza nei momenti opportuni, se non il “maestro”?
Se è vero, come è vero, che devono essere cancellati dal nostro comportamento gli opportunismi perchè ciò che conta è la sincerità assoluta, chi può costringerci a limitare il nostro egoismo ed essere testimoni di “verità” e di “realtà” se non il “maestro”?
Solamente quando il nostro cuore e la nostra mente saranno pronti sarà possibile impadronirci del “kime”
Il karate è un fiore molto delicato che perde tutto il suo colore ed il suo profumo se non viene coltivato nel modo corretto.
Bisogna fare presto! Occorre cercare il “maestro” perché quando l’allievo è pronto il “maestro” c’è.
Non perdiamo altro tempo; il “maestro” sta aspettando... tutti, nessuno escluso! Dobbiamo ricominciare, insieme, ed allora: YOI!!

Beppe Perlati